Proponiamo l’editoriale di Massimo Lensi apparso lunedì 5 gennaio su Notizie Radicali:
Mezzanotte a Sollicciano, carcere senza giustizia
Visitare con attenzione un carcere italiano non è mai cosa facile. Quando poi alle difficoltà della visita in un carcere come quello fiorentino di Sollicciano, costruito per 470 detenuti e da sempre in sovraffollamento, ci aggiungi la presenza di Marco Pannella, la notte dei veglioni e dei fuochi d’artificio di San Silvestro, il filo della logica sembra ingarbugliarsi del tutto. Eppure questo è accaduto.
Il carcere non è un plesso scolastico o un ospedale, strutture pubbliche da sempre sotto osservazione e adibite a erogare servizi. Il carcere è una comunità, al cui interno vivono a stretto contatto detenuti e agenti del corpo di polizia penitenziaria in una relazione di diritti e doveri dai confini deboli e incerti. È un corpo estraneo ai processi di integrazione tra città e territorio ed è a tutti gli effetti una metafora: del funzionamento dello Stato e della giustizia, del convivere civile con il senso del rispetto delle leggi. Se l’ordinamento penitenziario è fuori legge, lo è tutto lo Stato di conseguenza.
Marco Pannella, in sciopero della fame e della sete, raggiunge il gruppo in attesa all’entrata del Nuovo Complesso Penitenziario di Sollicciano con una mezzora buona di ritardo: voleva ascoltare i commenti al discorso di Giorgio Napolitano a Radio Radicale. Il freddo polare è di quelli anomali a Firenze, Roberto Giachetti si scusa immediatamente con Pannella per essere arrivato in anticipo; tutti ridono, la tensione si scioglie. Lo strano gruppo composto, oltre che dal leader radicale, anche dalla segreteria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, dal vicepresidente della Camera, Roberto Giachetti, dal cappellano di Sollicciano, don Vincenzo Russo, da Eros Cruccolini, garante comunale dei detenuti, e da una pattuglia di radicali fiorentini alla fine entra nella struttura, accompagnato per l’occasione dalla direttrice di Solliccianino, il Gozzini, Margherita Michelini.
Si cammina spediti nei lunghi corridoi che recano sui muri visibili tracce di umidità perenne, passando da luoghi freddissimi ad altri dove a farla da padrone è il caldo malsano degli impianti di riscaldamento. Si va al Transito e poi al Giudiziario, infine al Penale. Cruccolini, ipovedente, è bravissimo a evitare di inciampare nelle mille barriere architettoniche che fanno di Sollicciano un luogo inaccessibile a detenuti disabili, che invece ci sono e soffrono di una pena superiore a quella edittale emessa dal giudice con sentenza.
Lentamente prendiamo coscienza di questo istituto penitenziario. Rita Bernardini lo definisce struttura immonda, un luogo di tortura e successivamente, in conferenza stampa, inviterà il ministro della Giustizia a farci un giro, magari insieme a lei e ai radicali. La manutenzione ordinaria non esiste, precarie le condizioni igienico sanitarie, la saletta delle docce è fatiscente, le cucine funzionano a singhiozzo, piove continuamente dentro la struttura, ammalata di una umidità che fa ammalare.
Roberto Giachetti ascolta con visibile emozione le storie che gli si presentano. I detenuti che incontriamo sono chiusi in cella e le porte solide vengono aperte e chiuse di volta in volta con un rumore infernale per poter fare, almeno dalle sbarre, due chiacchiere con questi uomini che ci raccontano storie degne (o indegne, se si preferisce) di un romanzo di Victor Hugo. Umanità dolente. Sono per la maggior parte extra comunitari; come ci racconta un agente di custodia, Sollicciano è ormai pieno di condannati per piccoli reati, una costellazione di micro-criminali frutto delle cicliche richieste di maggior sicurezza da parte di una società civile, che poi non si interessa di seguire i percorsi di reinserimento di chi è stato condannato. Non interessa, non è importante. Il carcere è solo deposito invisibile di carne umana i cui destini non sono rilevanti per la società.
Vincenzo Russo, il cappellano, conosce tutti e ci mette al corrente dello status giudiziario, delle storie personali e dei problemi di ogni singolo carcerato. E i problemi sono veramente tanti, dall’isolamento sociale, a quello giudiziario. Procedimenti di trasferimento attesi per anni e bloccati solo da cavilli burocratici di una giustizia che proprio non funziona in Italia.
Marco Pannella è la stella delle serata, i detenuti sanno che c’è e lo vogliono vedere, stringergli la mano, incontrare. Lo accolgono con un coretto: “O Pannella / aprici la cella”. E Pannella contraccambia, accarezza e ascolta. Preferisce parlare: di conoscenza e resistenza, di amnistia come concezione di lotta nonviolenta e consapevolezza di una compagnia che ci unisce tutti e illumina la notte del diritto. È incredibile, ha un sorriso per tutti. Per Marco è un toccasana, lo sappiamo, un elisir di lunga vita. Per i detenuti è la speranza e un pò lo è anche per noi.
La mezzanotte ci coglie tra i sex offenders a parlar spartano. Stanchi ormai di ascoltare mille storie che si somigliano, dove i tratti della dimenticanza prendono i volti delle riforme della Giustizia (si badi alla maiuscola) annunciate e mai arrivate in porto. Il carcere è il luogo per eccellenza dove la Ragion di Stato vince su tutto, sulle leggi e sulle tutele dello Stato di Diritto. La superficie calpestabile della dignità costituzionale.
Fuori sentiamo i botti e vediamo dalle inferriate dei corridoi i lampi colorati dei fuochi artificiali, il nuovo anno è arrivato. Ci facciamo gli auguri come possiamo, brindando con le mani. Lentamente ci avviciniamo di nuovo ai lunghi corridoi che portano alla zona di uscita. Un carcerato del Penale guardando il volto provato di Rita Bernardini, con un sorriso rassegnato, le sussurra: “Forza e coraggio, che la galera è di passaggio”.
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