pubblichiamo il resoconto della visita, effettuata il 5 gennaio scorso, al Carcere di Lucca redatto da Maurizio Morganti (presidente dell’associazione per l’iniziativa radicale “Andrea Tamburi”)
Nel carcere San Giorgio di Lucca il mondo è alla rovescia e sotto sopra.
Alla rovescia perché mentre attraversi la terza sezione e entri nell’antro di una cella profonda tre passi e larga altrettanto – se si potesse farli liberamente quei passi dopo aver superato le tre persone che stazionano gomito a gomito vicino alla porta ché le brande coi materassi di gomma piuma a vista occupano il 90% del pavimento e rimane libero solo il passaggio verso il cunicolo in fondo al quale c’è il cesso, anticipato dal piccolo tavolo dove chi se lo può permettere tiene il fornellino per il caffè – mentre vedi tutto questo ti rendi conto che il ragazzo dell’est che hai appena incontrato nella cella di isolamento è un privilegiato.
Alla rovescia perché quando l’agente di polizia penitenziaria ti apre la “sala di socializzazione” ti rendi conto che è una spelonca poco più grande di due celle, gremita da una dozzina di sedie e un paio di tavoli sudici dove possono passare le ore diurne, ma non ti sorprende affatto sentire la Comandante che osserva: “Abbiamo riscontrato che molti detenuti preferiscono restare in cella”. Ci credo. E allo stesso tempo provi ammirazione e un po’ t’incazzi quando Fabiola l’educatrice ti spiega le attività “ricreative” che cercano di fare in quel luogo con l’aiuto dei volontari. Come uno che si armi con zelo e disciplina di una tinozza, la rovesci e ci salga sopra per prendere di petto lo tsunami.
Sotto sopra perché nel carcere di Lucca il mondo si vede dal fondo della scala sociale: poveri e più poveri se stranieri – almeno qualche italiano una famiglia fuori ce l’ha – tossicodipendenti quasi tutti, molti con la doppia diagnosi per problemi psichiatrici, malati di epatite C e B, sifilide, malati di carcere.
Sotto sopra perché, a fronte del signore nordafricano alto e ricurvo sulle stampelle, con lo sguardo e la voce bassa che si appoggia alle sbarre e racconta di essere stato detenuto dal 2006 al 2008 durante un processo da cui è uscito pulito e ora è di nuovo dentro e di nuovo in attesa di giudizio o di quell’altro, tossicodipendente come tutti lì dentro di droghe illegali o psicofarmaci “terapeutici”, che lamenta di vomitare per via del metadone dolce e chiede quello in pasticche, risorsa preziosa da smerciare, o di G. che mentre serve il vitto nella seconda sezione ti racconta di essere stato preso per un furto da tre soldi al Penny Market, furto di cui lui ovviamente si dichiara innocente – e fa una qualche differenza che lo sia o meno rispetto al luogo dove è recluso?
A fronte di questi casi fa tenerezza il vecchio ladro in pensione che procura con destrezza di farsi arrestare in questi giorni per passare l’inverno al caldo di questo piccolo inferno invece che nella sua scassata roulotte.
Il 5 gennaio 2015 quando siamo entrati con i compagni Rosa A Marca e Giovanni Rodella, erano 134 i reclusi su una capienza regolamentare comunicata di circa 140 posti. Numeri gonfiati come dimostrano le celle viste, conti truccati dal carcere di San Giorgio, dal Dap, e su su fino al ministero della Giustizia per arrivare a Strasburgo.
E nella seconda sezione incontriamo M. che, accusato di aver truccato i suoi di conti ora è in galera a scontare la pena e la sovrappena. E mi mostra un quaderno dove ha disegnato la piantina della cella con gli ingombri la metratura e annotato una lista di doglianze, proverà a chiedere il “risarcimento” mentre un compagno di cella conclude “sono una presa in giro”.
Conti truccati anche sui braccialetti elettronici. C’è un detenuto in terza sezione – il suo problema, gli direbbe Keith Richards, non è la cocaina ma l’Autorità – il magistrato infatti lo ha riconosciuto idoneo per questa misura alternativa, ma lui è lì in cella perché i “braccialetti sono finiti”. La Comandante allarga le braccia sconsolata.
Sono finiti i braccialetti, come non ci si può radere, come il tunisino aspetta da settimane di fare la telefonata di cui ha diritto, come le lenzuola sono cambiate dopo 3 settimane, questa volta per l’appunto, invece che ogni settimana come di regola, come sono finite le pile dei telecomandi, come è inagibile il campino con i palloni per l’ora d’aria, ma “presto sarà di nuovo disponibile”… La tinozza ondeggia..
E i conti non tornano a Sandro, Andrea, Pietro e Ilir della seconda sezione che hanno creato un “Comitato di impegno civile pro amnistia/indulto e legalità nelle prigioni italiane” di cui potete leggere il bellissimo statuto. Non c’è nulla da aggiungere a parte annotare la data di istituzione. Il giorno prima un ragazzo di 25 anni di origine sinti si era tolto la vita.
I conti non tornano a Isdraele detenuto in seconda sezione. Dice di avere anche la cittadinanza svedese ma l’evasione anagrafica non sembra funzionare. Lui era in una comunità di recupero – è il primo che ne rammenta una e per un carcere praticamente monotematico sulla tossicodipendenza… Dice che l’hanno beccato a fumarsi uno spinello. La Comandante prova a scherzarci su: “Di certo era il primo eh…”. E’ cordiale e fa anche bene a stemperare ma… e se fosse stato il quinto? E anche se non fosse stato uno spinello? Isdraele aderisce al Satyagraha e mi chiede di salutare Pannella, e mentre usciamo me lo ripete due volte… saluti a Pannella.
I conti non tornano nemmeno a Zhupa, studente di diritto a Pisa, appena trasferito da un altro carcere e che pure è recluso nella prima sezione, quella umana, quella in cui le docce sono vere docce tanto per cominciare. Zhupa tiene agli astanti una piccola lectio sulla sentenza Torreggiani prima di lasciarci liberi.
E i conti non tornano nemmeno all’agente di polizia penitenziaria che ci ha accompagnato per tutta la visita aprendo e chiudendo e mettendoci in guardia dalle balle. Sono cronicamente sotto organico e basta una traduzione in tribunale per mettere in crisi la sorveglianza nelle sezioni dove serpeggia la tensione tra gruppi etnici fomentata dalla povertà, dalla tossicodipendenza e dalla malattia e innescata dalle condizioni di “vita”.
E non tornano allo psicologo/tossicologo a cui chiediamo dei numerosi atti di autolesionismo e tentativi di suicidio (51 in due anni secondo il Sindacato della Polizia penitenziaria) e dell’ultimo riuscito a ottobre. Nell’ultimo periodo, dice, abbiamo avuto troppi casi con doppia diagnosi (tossicodipendenza + patologia psichiatrica) trasferiti in questa struttura. La tinozza…
Nel carcere sovraffollato di Lucca ci sono i poveri, i tossicodipendenti e i malati e sono reclusi contro il dettato della Costituzione. Con buona pace dei senatori Pd Marcucci e Granaiola usciti soddisfatti dalla visita prenatalizia per aver constatato il decremento dai 155 del dicembre 2013 ai 131 del dicembre 2014 (peccato che secondo il sito del Ministero a luglio fossero 118 e oggi appunto siano risaliti a 134) e con buona pace del Garante regionale della Toscana che, ignorando il monito della Statistica trilussiana, a novembre ha fatto titolare tutti i media locali che in “Toscana il sovraffollamento è risolto”.
E il magistrato di sorveglianza che dice delle celle del San Giorgio?
Questi i nomi dei detenuti che hanno aderito subito al satyagraha (non ci hanno consentito l’accesso con i moduli prestampati che abbiamo chiesto vengano fatti girare per la raccolta delle firme nei prossimi giorni)
Zhupa Auzel, studente, Albania
Maurizio Matarazzo, farmacista, Roma
Simone Nardini, Serravezza, Lucca
Wilson Parenti, Camaiore, Lucca
Isdraele Romano Francesco, Lucca
Sandro Franciosi, Caselle Torinese, Torino
Andrea Ruiu, La Spezia
Pietro Bighiani, Milano
Ilir Merko, Elbasan, Albania
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